di Edoardo Oldrati
Marco Bonometti, imprenditore di terza generazione, muove i primi passi nel 1977 nell’azienda di famiglia a Rezzato (BS) – un’azienda antica che nasce nel 1919 per opera del nonno materno – continuando comunque gli studi fino a conseguire la laurea in Ingegneria Meccanica. Oggi è alla guida di OMR, un Gruppo industriale internazionale con oltre 3500 dipendenti, un fatturato di 770 milioni di euro nel 2017, nell’ambito della meccanica per automotive. Attualmente OMR ha 10 stabilimenti in Italia di cui 3 in Lombardia, 4 in Emilia, 1 in Piemonte, 1 in Trentino e 1 in Abruzzo. All’estero OMR ha 6 stabilimenti, di cui 2 in Brasile, 1 in Marocco, 1 in Cina, 1 in India e 1 in USA. Bonometti opera anche nel settore sanitario, termale e dei servizi bancari e finanziari.
In questo 2019 arriva a metà del suo mandato di presidente di Confindustria Lombardia: quale bilancio traccia di questa esperienza? Quali sono le sue priorità per i prossimi mesi?
È un’esperienza molto positiva, perché ho toccato con mano come la Lombardia sia una Regione ricca di eccellenze, ma soprattutto ho avuto la riprova che è diventata tra le più importanti di Europa proprio perché ha messo l’impresa al centro. E se siamo giunti a questi risultati il merito va senz’altro ai nostri padri e nonni che hanno capito che il lavoro poteva essere elemento determinante per creare benessere e ricchezza. Credo che il mio mandato finora sia stato caratterizzato prima di tutto dalla compattezza con cui la Lombardia si sta muovendo come sistema, mettendo l’interesse generale davanti a quello particolare e portando avanti una visione strategica comune per esercitare un ruolo primario non solo nell’industria italiana, ma anche in quella europea. Inoltre, abbiamo cercato di riaffermare la rappresentanza e la rappresentatività delle imprese: Confindustria Lombardia oggi è ascoltata a livello nazionale e internazionale sia all’interno del sistema confindustriale sia all’esterno verso gli stakeholder più importanti. Siamo per esempio riusciti a stabilire un rapporto proficuo con la regione con progetti concreti per la competitività delle imprese, il rilancio delle eccellenze, la semplificazione burocratica, il potenziamento delle infrastrutture e non da ultimo la riaffermazione del primato del manifatturiero lombardo attraverso un evento come il World Manufacturing Forum che si tiene ogni anno a Cernobbio (CO). Ci rimane ancora molto da fare, anche perché in questa prima fase del mio mandato ho cercato di concentrarmi su alcuni temi in modo da portarli a termine. Stiamo per esempio lavorando per permettere alle aziende di accedere ai finanziamenti e potere quindi investire in nuovi macchinari, svecchiando così il parco macchine e incrementando produttività e sicurezza delle nostre fabbriche. Per farlo stiamo stendendo un accordo con le cinque principali banche italiane, che ci auguriamo possa poi essere esteso a tutta Italia, che metta subito le aziende in condizioni di potere fare investimenti accedendo al credito e sfruttando il principio della filiera e del traino delle aziende champion. Vogliamo poi anche sostenere le aziende lombarde nella partecipazione ai bandi europei, in modo da invertire un dato che vede l’Italia come fanalino di coda nella graduatoria delle nazioni che accedono ai bandi. La sfida dell’internazionalizzazione passa attraverso il sistema delle imprese, anche piccole, ed è un modo per acquisire nuove quote di mercato. Infine, siamo impegnati con Regione Lombardia sul tema dell’autonomia che, ne sono convinto, è indispensabile per competere con le altre regioni virtuose d’Europa che viaggiano alla velocità della luce. Anche perché la crescita della Lombardia è condizione per la crescita di tutta l’Italia: la Lombardia è la locomotiva di questo Paese, ma va alimentata continuamente perché se si ferma la locomotiva si ferma tutto il treno.
A fine 2018 in un’intervista ha lanciato l’allarme sull’arrivo di un periodo di contrazione del mercato, evidenziando che con l’iceberg all’orizzonte serviva modificare subito la rotta. La situazione è ancora grave? Secondo lei sono state intraprese le misure necessarie a evitare l’impatto con l’iceberg della crisi?
Quello che avevamo evidenziato già a luglio 2018 si sta realizzando: stiamo raccogliendo i frutti di scelte non fatte o scelte sbagliate. Il decreto Dignità sta confermando i nostri timori, con assunzioni e investimenti bloccati. Per questo Confindustria chiede segnali concreti per ridare fiducia a cittadini e imprenditori, altrimenti è difficile creare le condizioni per crescere. La crisi italiana perdura anche a causa della confusione creata dal Governo con una legge di bilancio che non contempla l’impresa. Come Confindustria abbiamo il diritto e il dovere di criticare i provvedimenti dei governi, non critichiamo i governi ma abbiamo l’obbligo di evidenziare quando i provvedimenti non vanno verso l’interesse dell’Italia. È il caso di questa legge di bilancio che punta più su una politica assistenziale invece di favorire lo sviluppo con azioni che aiutino le imprese. Ricordiamoci che il lavoro lo creano le imprese! Inoltre, oggi siamo in una situazione globale più difficile rispetto a qualche mese fa: dalla guerra dei dazi all’incertezza geopolitica passando per la crisi dell’automotive, sono molti i freni alla domanda mondiale ed è per questo che serve un’azione a livello europeo. Serve infatti una politica industriale europea che metta al centro l’impresa, per dare una risposta alla pace sociale e combattere la povertà e non la ricchezza. Importante anche avere un progetto strategico sulle infrastrutture: se l’Europa vuole competere a livello mondiale deve creare le condizioni per farlo.
Confindustria Lombardia come valuta la scelta del governo di cancellare il superammortamento e rimodulare l’iperammortamento in funzione dell’investimento?
Industria 4.0 è stata una misura seria di politica industriale e avrebbe dovuto essere riconfermata in toto. Invece, la nuova formulazione ha tolto il superammortamento e con i nuovi scaglioni invece di semplificare ha fatto ancora più complicazioni, finendo per penalizzare quelli che fanno più investimenti invece di favorire le piccole imprese. Inoltre, in modo strategico nel Piano Industria 4.0 si guardava alla formazione: dobbiamo formare figure professionali diverse rispetto al passato e quelle che formiamo oggi sono quelle che domani ci permetteranno di essere competitivi sul mer cato internazionale. Guardando a tutta la legge di bilancio, il fatto che non si sia dato spazio e attenzione all’impresa è una delle cause per cui viene meno la fiducia degli imprenditori a investire.
Esistono oggi elementi che identificano le imprese lombarde? C’è insomma un qualcosa che definisce il “made in Lombardia”?
L’industria lombarda è un’industria fatta di eccellenza e competitività, anche grazie ai passi avanti realizzati con la digitalizzazione e l’Industria 4.0. Questi risultati sono stati ottenuti perché gli imprenditori lombardi hanno sempre creduto in questo territorio, nel loro mestiere e nella tradizione imprenditoriale di questa regione. L’industria lombarda è sempre stata infatti alimentata dal gusto del rischio imprenditoriale, dalla passione per il lavoro e dalla voglia di lavorare non soltanto per la propria impresa, ma per rendere competitivo tutto il sistema in cui vivono e lavorano i lombardi. Se guardiamo a livello tecnologico, le imprese lombarde si distinguono anche per la voglia di innovare e seguire le tecnologie del futuro, anche grazie alle tante università eccellenti presenti sul territorio che supportano le imprese nell’affrontare il cambiamento tecnologico. La vocazione verso la digitalizzazione, un altro elemento caratteristico delle aziende lombarde, non deve però essere un punto di arrivo, ma uno strumento per pensare all’impresa del domani e per affrontare le sfide del cambiamento. Un altro elemento distintivo è l’alta competenza delle nostre maestranze, che tutto il mondo ci invidia. Crescendo in un ambiente in cui si mangia pane e truciolo, in Lombardia le persone sono state forgiate a vedere l’impresa come parte integrante della loro vita. Nonostante questa ricchezza, la carenza di personale qualificato è un tema che va affrontato, per esempio puntando sull’alternanza scuola-lavoro e sugli ITS (Istituti Tecnici Superiori).
Parliamo di digitalizzazione: a che punto sono le aziende lombarde in questo percorso? Di che cosa hanno bisogno per proseguire in questa evoluzione?
Per diventare aziende 4.0 è necessario un salto culturale e per farlo è importante aiutarsi a vicenda. Come Confindustria Lombardia abbiamo per esempio creato il Digital Innovation Hub Lombardia, dove le aziende possono fare un check up per conoscere a che punto sono nel processo di digitalizzazione. Oggi la digitalizzazione si sta concentrando in ambito produttivo ed è meno utilizzata in altri settori: invece è importante cercare di allargare questo orizzonte il più possibile. In Lombardia, dopo un anno di attività, vediamo che sono soprattutto le piccole aziende che faticano: il problema infatti non solo è digitalizzare l’imprese, quindi connettere le macchine e raccogliere i dati, ma anche sapere utilizzare le informazioni ora disponibili per prendere decisioni strategiche adeguandosi a condizioni di mercato completamente diverse rispetto al passato. Le aziende devono essere quindi in grado di cambiare prodotti e processi, un’evoluzione che il Competence Center dovrebbe aiutare anche trasferendo le esperienze delle aziende champion. Dobbiamo partire da qui per ridisegnare la fabbrica del futuro.
La formazione è un tema chiave per lo sviluppo e la crescita delle aziende italiane: quali sono le competenze su cui è più urgente investire?
Nei prossimi tre anni le aziende cercheranno circa 193 mila nuove figure professionali, in primis nella meccanica ma anche in altri settori (tessile, chimico, agricolo). Perché queste figure professionali siano disponibili serve un collegamento efficace tra scuola e aziende. Io sono convinto che l’alternanza scuola-lavoro sia proprio l’occasione per avvicinare questi due mondi dando ai giovani l’occasione di conoscere e approcciarsi al lavoro, così come avviene con gli stage universitari. Contemporaneamente bisogna dare a scuola e formatori un indirizzo su quali materie privilegiare: le lingue straniere, per esempio, sono fondamentali per qualsiasi professione in un mercato globale. Alle famiglie invece bisogna spiegare che la formazione professionale non è una scelta di serie B, al contrario è la strada privilegiata per formare le figure di cui le aziende hanno bisogno oggi, come, per esempio, i gestori di linee automatizzate, tecnici e manutentori. Bisogna quindi puntare sulla cultura, perché oggi l’ignoranza non permette la crescita: serve un’integrazione sempre più stretta tra sapere e competenze tecniche per potere affrontare le sfide innovative che come industria abbiamo di fronte.
Quale rapporto immagina e si augura tra l’universo delle start-up e le aziende lombarde? Sono due mondi destinati a incontrarsi e collaborare?
Sono convinto che le idee buone trovino sempre il loro spazio. Con le startup non credo che il problema sia che manchino gli investimenti, infatti se hai un’idea sostenibile dal punto di vista tecnico ed economico i soldi li trovi. Le aziende lombarde hanno infatti capito che da questa voglia di innovare dei giovani possono arrivare risultati importanti, quindi ci sono tante opportunità per chi ha idee sostenibili e capaci di dare vantaggi competitivi al sistema. In Lombardia oggi c’è un terreno favorevole e il numero di start-up è in continuo aumento, anche grazie alla crescita del venture capital e a iniziative come il PoliHub del Politecnico di Milano.
Quale ruolo ricopre oggi l’industria delle macchine utensili e della meccanica per l’economia lombarda?
Oggi il manifatturiero sta attraversando una fase di rinnovamento e mezzi di produzione come le macchine utensili sono un elemento strategico per ridisegnare la fabbrica del futuro. Le nuove esigenze dei clienti in termini di prestazioni, qualità e flessibilità porteranno infatti a un’evoluzione anche delle tecnologie produttive. Io ho immaginato che la macchina utensile del domani sarà una macchina molto meno sofisticata, molto prestazionale, semplice nella gestione, con tempi di installazione ridotti e facilmente movimentabile all’interno dello stabilimento. In particolare, la manutenzione sarà così rapida e semplice da superare anche il concetto di manutenzione preventiva, visto che saranno operazioni eseguibili da qualsiasi operatore in pochi minuti. Infine, i nuovi prodotti che arriveranno sul mercato chiederanno anche nuove macchine per produrli, se pensiamo all’auto elettrica serviranno evidentemente macchine utensili con caratteristiche diverse rispetto a quelle che usiamo oggi per produrre i componenti dei motori a benzina. Siamo di fronte a una rivoluzione della macchina utensile ed è fondamentale che tutti insieme, costruttori e utilizzatori, ci si confronti per capire quali saranno le esigenze del domani.
Come imprenditore lei è impegnato nel comparto della meccanica. Concentrando lo sguardo su questo settore, quali pensa siano oggi le maggiori sfide che le aziende devono affrontare?
Il tema chiave è oggi quello della competitività. Parlo di competitività non soltanto dell’azienda, ma di tutto il sistema: è inutile infatti che un’azienda riesca a fare un prodotto competitivo se poi quando esce dai cancelli della fabbrica il prodotto perde competitività per le diseconomie del sistema. La competitività deve essere un obiettivo strategico che coinvolge tutti gli attori del Sistema Paese. Se le aziende italiane riescono a recitare un ruolo primario – l’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, ricordiamolo – è perché siamo riusciti a innovare prodotti e processi, quindi è fondamentale continuare in questa direzione. Oggi la battaglia sul mercato si vince investendo, per questo il blocco degli investimenti in Italia è un segnale molto preoccupante: se fermi gli investimenti, fermi l’innovazione. L’investimento chiave deve essere però comunque sul capitale umano, serve insistere su questo tema anche ripartendo dalle scuole di formazione professionale che le aziende avevano in passato al loro interno. L’ultimo tema chiave è l’internazionalizzazione, perché se il mercato è globale le quote di mercato le aziende italiane devono conquistarsele in giro per il mondo.
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