Nel 2021 l’attività ha segnato un ritorno ai livelli pre-Covid; nel 4° trimestre il comparto meccanico è cresciuto del +12,8% su base annua, quello metallurgico del +13,7%. La marginalità tuttavia è quanto mai sotto pressione, schiacciata dai rincari delle materie prime industriali ed energetiche. Le aspettative per il 2022 sono condizionate dalle conseguenze del conflitto in Ucraina, che inasprisce gli aumenti dei prezzi energetici e delle materie prime.
In provincia di Brescia, nell’ultimo trimestre dell’anno, l’attività produttiva delle imprese metalmeccaniche ha proseguito la propria fase di crescita, registrando un +12,8% per il comparto meccanico rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (tendenziale) e un +13,7% per quello metallurgico. Alla luce del recupero sperimentato nel corso della seconda parte del 2020 e di tutto il 2021, l’attività delle aziende metalmeccaniche bresciane, pur con qualche distinguo, sarebbe ritornato ai livelli pre-Covid. A evidenziarlo è la più recente edizione dell’indagine trimestrale condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia su un panel di aziende associate.
L’evoluzione positiva dell’attività produttiva nasconde, tuttavia, serie problematiche per quanto riguarda gli approvvigionamenti delle materie prime e dei semilavorati utilizzati nei processi produttivi. Nel 4° trimestre del 2021 ben il 50% delle realtà meccaniche e il 23% di quelle metallurgiche ha indicato la “scarsità di materie prime e semilavorati” come il principale fattore che limita la produzione. Si tratta di un radicale cambio di scenario rispetto a quanto rilevato nel 3° trimestre del 2020, quando tale problema non era indicato da nessuna azienda meccanica e solamente dal 6% di quelle metallurgiche, in un contesto, ancora viziato dal lockdown dei mesi precedenti, in cui la domanda insufficiente era trasversalmente riconosciuta come il più importante ostacolo allo sviluppo del business.
Le suddette problematiche stanno provocando serie conseguenze sui costi di acquisto dei materiali. Dal 3° trimestre del 2020 al 4° trimestre del 2021, le imprese bresciane attive nella meccanica hanno dichiarato incrementi nei costi di acquisto nell’ordine del 75%, quelle nella metallurgia rincari pari al 64%. Di fronte a tali dinamiche, le aziende hanno risposto con incrementi dei prezzi di vendita pari rispettivamente al 10% e al 48%. Ciò sta a significare che gli operatori della metalmeccanica bresciana hanno solo in parte trasferito sui prezzi applicati ai clienti gli extra-costi subiti nella fase di approvvigionamento. Ne consegue una riduzione della marginalità industriale, che rischia di muoversi in direzione opposta a quella dei fatturati, che invece hanno superato i livelli del 2019.
«Ci stavamo riprendendo dagli effetti della pandemia – ha commentato Gabriella Pasotti, presidente del Settore Meccanica di Confindustria Brescia – con i mercati che stavano rispondendo in modo importante: questo conflitto drammatico e ingiustificato tra Russia e Ucraina ha invece creato ulteriori difficoltà a tutte le imprese, in particolare sulla tematica dei costi di energia e materie prime. La situazione deve portarci a una riflessione di ampio raggio sulla tematica dell’energia, per cui oggi più che mai appare fondamentale la strada dell’indipendenza. Servono progetti concreti messi in atto dal nostro Governo, soprattutto attraverso le rinnovabili, ma non solo: è l’unica via percorribile per mantenere alta la nostra competitività nel futuro.”
«La crisi ucraina – ha aggiunto Giovanni Marinoni Martin, presidente del Settore Siderurgia, Metallurgia e Mineraria di Confindustria Brescia – s’inserisce in un contesto già molto complesso per la siderurgia e metallurgia italiana. La resilienza dimostrata nella pandemia delle nostre aziende ci ha permesso di sorpassare momenti difficili, ora però la sfida affrontare è ancora più dura: gli aumenti speculativi delle materie prime sperimentati nel 2021 rischiano di essere messi in ombra dagli ultimi sviluppi nel campo energetico e politico. La nota crisi del gas ha portato a un incremento straordinario del prezzo dell’energia, che in questi giorni ha superato i 360 euro/MWh, con picchi di 400 euro/MWh, e quindi al fermo produttivo di molte realtà industriali del nostro settore, che non sono ancora riuscite a trasferire a valle questi straordinari aumenti di costo. A ciò sta per aggiungersi un’ulteriore impennata di aumenti delle materie prime, dovuta al blocco dell’area ucraino-russa. Nel pre-Covid solo l’Italia importava da questi due paesi più di 4 milioni di tonnellate di acciaio grezzo (ghisa, preridotto, billette, bramme, laminati e ferroleghe) su un totale di 23 milioni prodotte dal nostro Paese. Il blocco dei commerci e dei trasporti con la Russia, e della produzione in Ucraina, sta portando ad una ulteriore crescita dei prezzi su una serie di categorie di prodotti di base e di costi che andrà ulteriormente a ribaltarsi sulle nostre aziende. Faccio fatica ora a immaginare come il mercato a valle reagirà a questo ennesimo rialzo dei costi già ora in corso».
Quanto denunciato dalle imprese trova riscontro nelle quotazioni delle principali commodity metallurgiche rilevate nei mercati internazionali. A titolo d’esempio, l’indice LMEX, che racchiude in un solo valore le quotazioni dei principali metalli non ferrosi scambiati alla borsa di Londra (alluminio, nichel, piombo, rame, stagno e zinco) si attesta sui massimi storici (4831 la quotazione media nella settimana n.8), rilevando un incremento del 112% dai minimi del 2020 e dell’8% nel solo 2022. Allo stesso tempo, la crescita rispetto alla media del biennio 2018-2019, preso a riferimento come la “normalità” pre-Covid, è pari al 61%.
Le preoccupazioni degli operatori metalmeccanici riguardano inoltre il “caro energia”, che, come già denunciato in altre occasioni, rischia di compromettere ancora di più la redditività operativa, già messa sotto pressione dall’evoluzione delle quotazioni delle materie prime. In tale contesto, il PUN (Prezzo Unico Nazionale) dell’energia elettrica ha raggiunto cifre esorbitanti, tali da mettere a rischio, in alcuni casi, la convenienza economica a produrre (214 euro/MWh nella settimana n.8), con un incremento del 276% rispetto alla media dei prezzi rilevati nel biennio 2018-2019.
Sul versante del mercato del lavoro, persistono i segnali di sgonfiamento del ricorso alla CIG (Cassa Integrazione Guadagni) nei settori metalmeccanici. Le ore autorizzate nel 2021 sono diminuite del 60% rispetto allo stesso periodo del 2020, passando da 50,0 a 19,8 milioni. In particolare, la componente ordinaria è calata del 73% (da 48,5 a 12,9 milioni di ore); quella straordinaria invece è cresciuta del 379% (da 1,4 a 6,9 milioni di ore). Tuttavia, il confronto con il 2019 mostra una crescita del 269%, sintesi di un +371% della CIGO (Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria) e di un +163% della CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria). Sulla base delle ore effettivamente utilizzate è possibile stimare che le ULA (Unità di Lavoro Annue) potenzialmente coinvolte dalla CIG siano circa 4300, contro le quasi 11 mila del 2020 e le 1200 del 2019.
Le prospettive a breve termine del settore metalmeccanico bresciano risultano condizionate da un contesto operativo particolarmente complesso, su cui grava il rischio che importanti segmenti dell’industria locale siano costretti a sospendere l’attività per eccesso di costi che vanno a erodere la marginalità, nonostante la forte domanda proveniente dalla clientela. In tale scenario, il conflitto bellico fra Russia e Ucraina è un elemento di inedita incertezza, dai risvolti tutt’altro che definibili. Da ultimo, le aziende metalmeccaniche guardano con grande attenzione all’evoluzione dell’economia tedesca, da sempre il principale partner per le nostre esportazioni. La Germania ha infatti sperimentato un 2021 tutt’altro che brillante, in cui la ripresa dell’inflazione e le strozzature all’offerta nell’industria hanno condizionato il percorso di recupero dopo la caduta nel 2020. Vi è il timore che le inedite tensioni geopolitiche di questi giorni possano ulteriormente frenare la ripresa della locomotiva tedesca a cui l’industria bresciana è fortemente legata.
Dal punto di vista della struttura produttiva, Brescia è la seconda provincia italiana per rilevanza dell’industria metalmeccanica (dopo Torino). Con quasi 105 mila addetti attivi, è leader nazionale per quanto riguarda la metallurgia (17 mila addetti) e i prodotti in metallo (39 mila addetti), è al secondo posto nei macchinari e apparecchiature (31 mila addetti) e in sesta posizione relativamente ai mezzi di trasporto (poco meno di 9 mila addetti).
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