Nonostante la stampa di materiali plastici sia una tecnologia ormai matura, HP è riuscita a migliorare ulteriormente il processo. Il primo modello di queste macchine, appartenenti alla linea Jet Fusion, è operativo presso la Weerg di Marghera (VE).
di Andrea Pagani
La stampa 3D è una tecnologia affascinante, che negli ultimi anni ha avvicinato milioni di persone creando il fenomeno dei makers. Tra questi c’è anche Matteo Rigamonti, oggi noto nel settore manifatturiero per avere fondato il servizio di lavorazione CNC online Weerg.
«Sono un appassionato di stampa 3D, ne ho tre a casa e sono affascinato da questa tecnologia – ci conferma Rigamonti – e prima di cominciare la mia avventura con Weerg ho preso in considerazione la possibilità di aprire un business proprio in questo settore: poi ho ritenuto che ai tempi la tecnologia non fosse matura per i risultati e gli obiettivi che avevo in mente, cioè la produzione industriale e non solo la prototipazione. In particolare, alcuni anni fa i limiti erano la bassa produttività e la presenza di supporti che richiedono un notevole intervento manuale da parte di un operatore, quindi una scarsa ripetibilità».
Ma le tecnologie additive sono uno degli ambiti più dinamici, con una evoluzione costante in termini di macchine, materiali e applicazioni. L’ingresso più recente in questo settore è quello caratterizzato da HP che, forte della propria esperienza nella stampa 2D, ha proposto una soluzione innovativa in grado di eliminare gran parte dei limiti delle macchine di precedente generazione. «Appena è stata presentata la nuova stampante di HP, basata su una tecnologia nuova e supportata da un fornitore solido e degno di fiducia – prosegue Rigamonti – mi è bastata una demo per comprendere che finalmente la stampa 3D poteva fare il proprio ingresso nel mondo della produzione».
Stampa 3D e produzione
È su questi presupposti che nello stabilimento Weerg di Marghera è entrata una HP Jet Fusion 4200, la prima in Italia, con la quale è iniziata la produzione di componenti in materiale plastico.
«L’approccio è totalmente diverso rispetto a quello delle lavorazioni meccaniche a controllo numerico – aggiunge Rigamonti – perché il processo in sé è molto semplice, ma sono ben più complessi i parametri che la macchina deve tenere sotto controllo. Abbiamo operato fianco a fianco con i tecnici HP per imparare a conoscere al meglio la nuova tecnologia e superare i primi ostacoli che inevitabilmente si presentano quando si è un po’ “pionieri” in un settore. Con l’impiego industriale possono infatti emergere problematiche o criticità alle quali i progettisti non hanno pensato, quindi la fase di testing prima e subito dopo il lancio sul mercato è fondamentale. Se il progetto è nato bene, come in questo caso, è sufficiente qualche piccolo intervento per raggiungere i risultati voluti. Ho già avuto esperienze in passato con HP, è un’azienda sulla quale si può contare: la stampa 3D richiede impegno e trovo sempre elasticità e disponibilità al dialogo nell’affrontare le problematiche che mi si parano davanti. L’assistenza di HP è stata esemplare, tanto da metterci ben presto nelle condizioni di acquistare altre due macchine».
Oggi, dopo circa un anno di attività delle macchine HP, la stampa rappresenta circa il 25% del fatturato di Weerg. Significative le differenze anche dal punto di vista della clientela, come conferma Rigamonti. «Rispetto alle lavorazioni CNC, dove il 95% dei nostri utenti è costituito da professionisti del mondo della meccanica, nell’ambito della stampa 3D la maggior parte degli ordini proviene da amatori che “sperimentano” (proprio come ho fatto io in passato) e testano geometrie, materiali e così via. I clienti che cercano lavorazioni su metallo hanno spesso un approccio più tradizionale e una minore tendenza al cambiamento, ma nel momento in cui hanno visto che il loro fornitore Weerg si era dotato di stampanti 3D è stato quasi automatico prendere in considerazione questa nuova tecnologia per altri particolari da realizzare. Quasi tutti i clienti che hanno cominciato a lavorare con noi di fresa o di tornio ora si affidano a Weerg anche per le operazioni che richiedono materiali plastici e tecnologie additive».
Non solo prototipi
Uno dei punti di forza di queste macchine è che non sono solo adatte alla prototipazione, ma anche alla produzione di lotti di notevole entità, fino ad alcune migliaia di pezzi in base alla loro dimensione e complessità. «Tutti i giorni riceviamo ordini da qualche centinaio di pezzi, una volta addirittura da 5 mial – spiega Rigamonti – e quindi, rispetto per esempio allo stampaggio a iniezione, con questi numeri i vantaggi sono notevoli: non serve uno stampo (con tutti i costi e le tempistiche annesse) e posso permettermi di fare modifiche in corso d’opera. Ovviamente, le due tecnologie convivono sulla base della numerosità dei lotti: con la tecnologia attuale, al salire dei pezzi da realizzare lo stampaggio convenzionale risulta ancora vincente. Il nostro obiettivo non è dunque fare concorrenza allo stampaggio a iniezione, bensì offrire un servizio rapido ed economico per produrre un numero significativo di particolari».
Un vero processo industriale
Il processo di stampa in sé delle macchine di HP è piuttosto semplice: si prepara il build (la disposizione dei componenti all’interno del contenitore di stampa), si carica la macchina, si attende la fine del processo e si procede con il raffreddamento e la pulizia dei pezzi. «Non c’è un’attività manuale, che potremmo definire “artigianale”: il tutto avviene in maniera molto lineare, tanto che un singolo operatore attualmente gestisce tutte e tre le macchine – prosegue Rigamonti – Abbiamo inoltre scelto per ora di utilizzare un solo materiale, il PA12, perché presenta un’ottima robustezza e una discreta flessibilità: cerchiamo di assicurare al cliente un pro dotto che sia il più versatile possibile. Dare un’unica scelta può sembrare vincolante, ma è anche garanzia di un output sempre costante e conosciuto».
Il tempo ciclo di ciascuna stampa è fisso indipendentemente dal livello di riempimento dei pezzi: occorrono da 8 a 11 secondi per strato in base alla modalità di stampa, mentre il tempo complessivo è dato dall’altezza dell’ultimo strato depositato. Incluso carico e scarico, riscaldamento e raffreddamento, si parla di 12 ore in rapido e 15 ore con il ciclo normale. La caratteristica forse più evidente delle nuove HP Jet Fusion è la presenza di un’unità build (in altre parole del volume di lavoro) asportabile per permettere la successiva pulizia dei pezzi dalla polvere non fusa mentre la macchina può procedere con un nuovo ciclo, riducendo al minimo i tempi morti. Con altre tecnologie tutto avviene all’interno della stampante: vien da sé, quindi, che mentre l’operatore sta svuotando e pulendo la camera di stampa non sarà possibile procedere con nuovi pezzi. Le Jet Fusion, invece, possono essere scaricate e subito caricate con un nuovo lavoro. I sistemi di miscelazione e caricamento automatizzati e chiusi assicurano un flusso pulito delle polveri.
Ottimizzazione volumetrica
La Jet Fusion 4200 offre un volume di lavoro pari a 380 x 284 x 380 mm, all’interno del quale i pezzi possono essere posizionati a piacimento. «La polvere stessa funge da supporto, quindi una volta terminato il processo di stampa è sufficiente aspirarla senza dover intervenire sui supporti – conferma Davide Ferrulli, Enterprise Sales Manager 3D Printing di HP – e poi forniamo anche un software di nesting che assicura una buona flessibilità di utilizzo della macchina. In Weerg hanno apprezzato molto questo automatismo, perché li svincola dalla necessità di avere un esperto in materia che investa gran parte del proprio tempo nell’inserire i pezzi nel volume di lavoro».
«Abbiamo compreso subito le potenzialità del nesting e abbiamo cercato un prodotto che spingesse ancora oltre i limiti di “incastro” tra componenti diversi – interviene Rigamonti – inoltre abbiamo un’opzione che ci consente di fare il nesting su due build differenti, in modo da ottimizzare ulteriormente i carichi e suddividere i lotti in più operazioni per fare stare il massimo numero di pezzi in ogni singola operazione di stampa. Il nesting è infatti volumetrico: non essendoci materiale di supporto se non la polvere stessa, il campo di lavoro si può riempire addirittura inserendo un pezzo dentro l’altro».
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